SELEZIONE EQUA: COME EVITARE BIAS INCONSAPEVOLI

Il successo di un processo di recruiting non dipende solo dal numero di candidature ricevute o dalla rapidità con cui si chiude una posizione. Spesso, infatti, il vero ostacolo è invisibile: i bias inconsapevoli. Parliamo di pregiudizi automatici che condizionano le decisioni dei selezionatori senza che se ne accorgano, riducendo la diversità e la qualità delle assunzioni.

Secondo Harvard Business Review, i bias inconsci sono tra le principali cause di errori nel recruiting, portando spesso a scegliere candidati “simili” a chi seleziona piuttosto che quelli più qualificati.

In questo articolo vedremo cos’è il bias, come influisce sui colloqui e quali strategie pratiche possono aiutare le PMI a rendere più equo e trasparente il processo di selezione.

 

Cosa sono i bias inconsapevoli nel recruiting

I bias inconsapevoli sono scorciatoie mentali che il nostro cervello utilizza per semplificare le decisioni. Il problema è che, nei colloqui di lavoro, queste scorciatoie possono generare errori gravi.

Esempi tipici:

  • Affinity bias → favorire candidati che condividono interessi, background o percorsi simili ai nostri.
  • Gender bias → attribuire inconsciamente ruoli e capacità in base al genere.
  • Halo effect → lasciarsi influenzare da un singolo aspetto positivo (es. università prestigiosa) a scapito di una valutazione oggettiva.

Secondo una ricerca del World Economic Forum, i bias inconsci influenzano fino al 35% delle decisioni prese durante la fase di colloquio.

 

Perché i bias riducono l’efficacia delle assunzioni

Non si tratta solo di un tema etico o di diversità, ma anche di performance aziendale.

Uno studio di McKinsey & Company (2020) dimostra che le aziende con team inclusivi e diversificati hanno una probabilità del 36% in più di ottenere risultati finanziari superiori rispetto ai competitor.

Selezionare candidati con criteri distorti porta invece a turnover più alto, minore innovazione e una perdita di competitività sul mercato.

 

Come ridurre i bias inconsapevoli nei colloqui

Per garantire una selezione equa e ridurre al minimo i bias, le PMI possono adottare pratiche concrete.

  1. Strutturare le domande del colloquio

Uno dei modi più efficaci per ridurre i pregiudizi è standardizzare le domande.
La Society for Human Resource Management (SHRM) raccomanda di preparare uno schema di domande uguali per tutti i candidati, includendo sia aspetti tecnici che situazionali (es. “Raccontami una volta in cui hai gestito un conflitto in team”).

  1. Utilizzare checklist e griglie di valutazione

Invece di basarsi su impressioni soggettive, ogni candidato può essere valutato con criteri oggettivi e punteggi prestabiliti.
Secondo LinkedIn Talent Solutions, le aziende che adottano sistemi di valutazione strutturata riducono fino al 41% il rischio di assumere un profilo non idoneo.

  1. Formare i selezionatori sui bias

La consapevolezza è il primo passo per cambiare.
Programmi come il Project Implicit di Harvard University hanno dimostrato come anche un breve training aiuti a riconoscere e ridurre i bias inconsci durante le decisioni di selezione.

  1. Promuovere la diversità nei team di selezione

Un team di selezione eterogeneo riduce automaticamente la probabilità che un singolo bias influenzi la decisione finale.

 

Verso una selezione più equa e strategica

Ridurre i bias inconsapevoli non significa eliminare il ruolo dell’intuito o delle soft skill, ma integrare questi aspetti in un processo più strutturato e oggettivo.

Come ricorda Harvard Business Review, “le aziende che affrontano consapevolmente i bias nei processi HR non solo assumono meglio, ma rafforzano la propria cultura interna e attraggono talenti di qualità più alta.”

 

Conclusione: il vantaggio per le PMI

Per le PMI italiane, affrontare il tema dei bias non è solo una questione di correttezza, ma un vero vantaggio competitivo.
Un processo di selezione equo consente di:

  • migliorare la qualità delle assunzioni
  • ridurre il turnover
  • attrarre talenti più qualificati e motivati

 

Se hai trovato utile questo articolo, condividilo con colleghi e professionisti HR interessati a costruire processi di selezione più equi e trasparenti.
La consapevolezza è il primo passo per migliorare il mondo del lavoro: più ne parliamo, più possiamo ridurre i bias inconsapevoli e rendere le assunzioni davvero efficaci.

Come scegliere l’ATS giusto per la tua azienda: guida pratica per PMI

Sai quanto ti costa oggi gestire i CV con Excel?

Molto più di quanto pensi.
Molte PMI italiane gestiscono ancora candidature via mail o fogli di calcolo.
Il risultato? Tempo perso, candidati persi, costi nascosti.

Un Applicant Tracking System (ATS) è un software che centralizza tutte le fasi della selezione: pubblicazione annunci, raccolta CV, screening, onboarding.

Invece di ricevere file sparsi, hai un unico sistema ordinato.

Secondo IDC (International Data Corporation, società globale di analisi tecnologica), un ATS riduce il tempo medio di assunzione del 60% e genera un ROI medio del 255% in tre anni (HR Tech Report 2024).
E per una PMI questo significa meno lavoro amministrativo, più focus su valutazioni strategiche.

1. Quante assunzioni fai in un anno?

Se assumi 2–3 persone, ti basta un sistema leggero.
Se apri regolarmente più posizioni, un ATS è fondamentale.

Best practice: scegli in base ai tuoi volumi, non al nome del fornitore.
Molte PMI sprecano soldi su software enterprise che non sfruttano.

Che tu riceva 20 CV o 200, il problema è lo stesso: senza ATS, ogni candidatura va aperta e archiviata a mano. Con un ATS, filtri subito i profili più vicini al ruolo → così usi il tuo tempo per valutare le persone, non per gestire CV.

2. Budget e ROI: costo o investimento?

Molti imprenditori vedono l’ATS come una spesa.
In realtà è un investimento che evita perdite ben più alte.

SHRM (Society for Human Resource Management, la più grande associazione HR al mondo) stima che un turnover costi il 30–50% della RAL.

Un ATS non elimina i mismatch da solo. Non può dirti se un candidato è motivato: quello resta un lavoro umano.
Ma ti aiuta a filtrare i CV, a concentrarti su chi ha le competenze giuste, e a ridurre errori iniziali che costano cari.

3. Facilità d’uso

Un software potente è inutile se nessuno lo usa.
In una PMI chi si occupa di recruiting spesso ha anche altre responsabilità: serve uno strumento semplice e intuitivo.

Gartner (società di consulenza internazionale in IT e HR tech): il 40% dei progetti HR fallisce perché il software non viene adottato dagli utenti (2023).

Best practice: fai sempre una demo. Se in mezz’ora non è chiaro come usarlo, scartalo.

Un ATS pensato per PMI consente in pochi click di pubblicare annunci su più portali e filtrare automaticamente i CV.
Risultato: meno tempo sprecato in passaggi inutili, più tempo per valutare i candidati davvero interessanti.

4. Integrazione con gli altri processi HR

Un ATS moderno non serve solo a gestire CV: può dialogare con paghe, presenze, formazione e performance.

IDC (HR Tech Report 2024): le aziende che integrano i sistemi HR riducono del 25% i tempi amministrativi e migliorano la qualità dei dati.

Best practice: chiedi sempre se l’ATS si integra con:

  • portali di annunci (LinkedIn, InfoJobs, ecc.)
  • il tuo gestionale paghe
  • moduli di onboarding e formazione

Un ATS integrato evita di inserire tre volte gli stessi dati e riduce errori → più tempo per seguire la crescita del nuovo assunto.

5. Supporto e compliance

Per una PMI è fondamentale avere supporto in italiano e GDPR compliance.

Il Regolamento GDPR (Garante Privacy, 2024) prevede sanzioni fino a 20 milioni di € o al 4% del fatturato per gestione scorretta dei dati personali.

Best practice: verifica dove sono i server, leggi il contratto sul trattamento dati, controlla i tempi di risposta dell’assistenza.
Un ATS ben configurato gestisce automaticamente consensi e archiviazione → riducendo rischi e garantendo fiducia ai candidati.

6. Errori da evitare

Scegliere l’ATS più blasonato “perché lo usano le multinazionali” → paghi migliaia di euro per funzioni che non usi.
Guardare solo al prezzo → risparmi oggi, perdi molto di più in inefficienze.

Non coinvolgere chi lo userà → il software resta nel cassetto e torni a Excel.
Best practice: analizza i tuoi bisogni, coinvolgi chi userà lo strumento, chiedi una demo.

Un ATS non è un lusso: è un alleato strategico per selezionare meglio, risparmiare tempo e ridurre i costi nascosti.

Ma non esiste “l’ATS perfetto in assoluto”: esiste quello giusto per la tua azienda, i tuoi volumi, la tua cultura HR.

Studio Siciliano & Partners supporta le aziende proprio in questo: dall’analisi dei bisogni alla scelta dello strumento, fino alla sua implementazione pratica.

Come costruire una cultura HR inclusiva e sostenibile diventando Società Benefit

Oggi la maggior parte delle PMI italiane si scontra con tre ostacoli ricorrenti:

  1. difficoltà ad attrarre e trattenere persone valide
  2. perdita di valore percepito sul mercato
  3. accesso limitato a bandi e finanziamenti

Il modello Società Benefit, se costruito bene, interviene su tutti e tre i punti. Non è burocrazia. È strategia per crescere con più coerenza, più appeal, più margini.

Nel 2025 non basta più “trattare bene le persone”. Serve un modello misurabile, trasparente, coerente. Chi lo adotta cresce. Chi non lo fa, oggi lo paga.

Cosa significa diventare Società Benefit, in pratica?

Diventare Società Benefit significa modificare lo statuto aziendale per affiancare allo scopo di lucro uno o più obiettivi di beneficio comune (es. ambientali, sociali, culturali).

Non è solo una dichiarazione d’intenti:

  • si definiscono per iscritto le finalità d’impatto da perseguire
  • si nomina un responsabile d’impatto
  • si pubblica ogni anno una relazione d’impatto, basata su standard come GRI o ESRS

Cosa cambia nella pratica:

  • Si integra la cultura ESG nella gestione delle persone, dei fornitori, dei processi decisionali
  • Si diventa eleggibili per bandi pubblici e agevolazioni fiscali
  • Si migliora il posizionamento verso clienti, talenti, stakeholder

È un passaggio semplice da un punto di vista legale (atto notarile), ma strategico da un punto di vista aziendale. Ecco perché va accompagnato con un lavoro interno di coerenza e visione.

 

  1. Perché oggi ha senso farlo (e perché non è un trend passeggero)

Alla fine del 2024, in Italia si contano 4.593 Società Benefit, in crescita del +27% rispetto al 2023 (Fonte: Unioncamere-InfoCamere 2025). Generano 62 miliardi di euro di valore, impiegano oltre 217.000 persone e sono presenti in tutti i settori chiave dell’economia.

Nel triennio 2021-2023, il fatturato mediano delle Società Benefit è cresciuto del +26%, contro il +15,4% delle aziende tradizionali (Fonte: Intesa Sanpaolo Research 2025).

 

Il modello Benefit non è uno slogan etico, ma una leva strategica per:

  • Accelerare la crescita
  • Attrarre persone
  • Migliorare la governance
  • Ottenere credito e finanziamenti ESG

 

  1. Vantaggi concreti per le PMI: numeri alla mano

Occupazione in crescita: il 62% delle Società Benefit ha aumentato l’organico negli ultimi 2 anni, contro il 43% delle imprese non Benefit.
Più investimenti sulle persone: +25,9% il costo del lavoro cumulato per le Benefit vs +12,5% delle non-Benefit.
Redditività sostenuta: EBITDA medio delle Benefit ~9%, superiore rispetto a ~8,3% delle imprese ordinarie.
Accesso a bandi e incentivi: credito d’imposta al 50% per la trasformazione in SB (Decreto Rilancio); contributi regionali a fondo perduto (es. CCIAA Maremma-Tirreno 2025).

(Fonte: Osservatorio Bilanci Sostenibilità, Assobenefit 2024; Intesa Sanpaolo 2025; MiSE)

 

E se non lo fai?

Continuerai a rincorrere candidati che ti abbandonano. Perderai bandi perché non hai le metriche ESG. Racconterai sostenibilità senza poterla dimostrare. Sarai fuori dai radar dei giovani più capaci.

La buona volontà non basta più. Serve metodo. E serve adesso.

 

  1. Cultura HR sostenibile: cosa significa davvero

Non è solo selezionare o fare welfare. Significa:

  • Valori operativi che guidano decisioni e assunzioni
  • Misurazione continua del clima interno, turnover, engagement
  • Piani di crescita trasparenti, formazione, coaching, dialogo
  • Comunicazione coerente tra ciò che si promette e ciò che si vive in azienda

Tutto ciò deve essere documentato e rendicontabile secondo gli standard ESG europei (CSRD, ESRS, GRI).

 

  1. Il contributo di Moebeus Società Benefit + Studio Siciliano & Partners

Insieme costruiamo un ecosistema operativo completo:

Moebeus guida l’impresa nella definizione dell’impatto (SDG, materialità, statuto, bilancio ESG)

Studio Siciliano & Partners rende operativa la cultura HR:

– Amministrazione del personale (payroll, consulenza welfare)

– Formazione (business coaching, onboarding, upskilling)

– Comunicazione (contenuti, EVP, narrazione interna)

 

“Molte PMI fanno già sostenibilità. Ma non la misurano, non la raccontano e non la integrano nella struttura HR. Qui entriamo in gioco noi.”

 

  1. Esempi concreti di PMI che abbiamo affiancato

Un’impresa impiantistica ha avviato un percorso ESG partendo dalla progettazione sostenibile e dal rinnovamento delle competenze interne. Oggi integra gli SDG nella propria offerta tecnica e ha migliorato la comunicazione di impatto con stakeholder pubblici e privati.

 

Una realtà edile ha strutturato un sistema integrato di gestione (qualità, ambiente, sicurezza), accompagnata da attività di formazione e rendicontazione ESG. Ha migliorato il posizionamento nei bandi e consolidato la propria reputazione presso i committenti pubblici.

 

Un’azienda tecnica multiservizi ha combinato un lavoro sulla cultura interna con l’evoluzione del modello organizzativo, portando a un miglioramento della retention e all’introduzione di strumenti di monitoraggio ESG accessibili e progressivi.

 

  1. In conclusione: non è questione di moda, ma di metodo

Diventare Società Benefit non è una scelta di comunicazione.

È una scelta strutturale che impatta su business, persone e reputazione.

 

Se vuoi capire dove si trova oggi la tua cultura HR rispetto a questi standard — possiamo aiutarti a misurarla.

Recruiting 4.0: usare i dati per migliorare la selezione del personale

Analizzare dati per la ricerca e selezione del personale

Il futuro della selezione è data-driven

Nel mondo delle risorse umane, l’evoluzione digitale ha trasformato radicalmente il processo di selezione del personale. Il cosiddetto Recruiting 4.0 segna il passaggio da un approccio intuitivo e basato sull’esperienza a un metodo più scientifico, fondato su dati misurabili, indicatori di performance e strategie analitiche.

Oggi più che mai, le PMI devono affidarsi ai dati per prendere decisioni consapevoli e ridurre il margine di errore nelle assunzioni.

 

Perché i dati migliorano la qualità delle assunzioni

Usare i dati nella selezione del personale permette di:

  • Ottimizzare i tempi del processo di recruiting
  • Aumentare la qualità delle assunzioni
  • Migliorare l’esperienza dei candidati
  • Limitare i costi derivanti da turnover e mismatch

Ma non si tratta solo di numeri: i dati consentono di comprendere meglio le esigenze dell’organizzazione e il potenziale dei candidati. Un approccio strategico, orientato all’efficienza.

 

I principali indicatori da monitorare

Anche in assenza di sistemi ATS (Applicant Tracking System) strutturati, è possibile monitorare manualmente o con strumenti semplici alcuni KPI chiave:

Time to hire – Quanto tempo passa dall’apertura della posizione alla firma del contratto? Un tempo troppo lungo può far perdere candidati validi.

Quality of hire – Valutare l’impatto della nuova risorsa nei primi 6-12 mesi, anche attraverso feedback interni.

Fonte del candidato – Da dove arrivano i migliori candidati? Social, passaparola, portali di annunci? Questo dato aiuta a ottimizzare la strategia di comunicazione.

Tasso di conversione CV/colloqui – Quanti CV ricevuti si trasformano in colloqui? Se il numero è basso, forse l’annuncio è poco chiaro o il profilo richiesto non è realistico.

Tasso di accettazione dell’offerta – Quante proposte vengono accettate? Un tasso basso può indicare problemi di attrattività o comunicazione del pacchetto offerto.

 

Come integrare l’approccio data-driven nella selezione

Lo Studio Siciliano & Partners affianca le aziende nel costruire processi di selezione strutturati, anche senza l’uso di software sofisticati. Come?

  • Definendo indicatori realistici e misurabili
  • Semplificando la raccolta dei dati con strumenti come Excel, Forms o semplici dashboard
  • Offrendo supporto per leggere correttamente i risultati e trasformarli in azioni concrete

L’obiettivo non è avere più dati, ma avere quelli giusti e saperli interpretare per migliorare le scelte.

 

Conclusione: piccoli dati, grandi risultati

Il Recruiting 4.0 non è riservato alle grandi aziende o alle multinazionali. Anche una PMI può adottare un approccio data-driven con strumenti semplici e un metodo efficace.

✅ Migliorare le assunzioni

✅ Ridurre gli errori

✅ Aumentare la soddisfazione interna

Chi seleziona bene oggi, costruisce un’organizzazione più forte domani.

GENERAZIONE Z: SEMPRE PIÚ INTERESSATA AL POSTO FISSO, MA CON LE GIUSTE CONDIZIONI!

La Generazione Z vuole stabilità, ma anche flessibilità e valori. Scopri come le aziende possono attrarre e trattenere i giovani talenti.

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un profondo cambio di paradigma nel mondo del lavoro. La Generazione Z, spesso descritta come fluida, instabile e alla ricerca di stimoli continui, oggi ci sorprende con un desiderio in crescita: la stabilità lavorativa.
Secondo un’indagine di Manpower, il 70% dei giovani appartenenti a questa generazione considera oggi il posto fisso un elemento cruciale nella scelta di un lavoro. Un dato che segna una svolta rispetto agli anni passati.

Ma attenzione: non si tratta di tornare a vecchi schemi. La Gen Z cerca il posto fisso “giusto”, ovvero strutturato, ma non rigido. Solido, ma aperto all’evoluzione personale.

 

Cosa significa “posto fisso” per la Generazione Z oggi

In un mondo segnato da incertezza economica, crisi geopolitiche e instabilità sociale, le nuove generazioni avvertono la necessità di ancorarsi a realtà più solide.
Tuttavia, il concetto di stabilità si evolve:

  • Autonomia e flessibilità restano fondamentali.
  • Ma si affiancano a percorsi di crescita chiari, formazione continua e un’organizzazione empatica.

Infatti, sebbene il 35% degli under 30 dichiari un calo di motivazione e l’intenzione di lasciare il proprio attuale impiego, il bisogno di un progetto lavorativo duraturo torna a pesare nelle decisioni professionali.

 

Le risposte vincenti delle aziende: HR culture evoluta e sostenibile

Per attrarre e trattenere i giovani talenti, le aziende devono costruire una cultura del lavoro centrata sulle persone, con azioni strategiche mirate e sostenibili.
Ecco le leve più efficaci:

Strategie vincenti per valorizzare la Gen Z:

  • Formazione mirata e orientata allo sviluppo di competenze attuali.
  • Percorsi di carriera trasparenti e definiti.
  • Piani di benessere aziendale per supportare l’equilibrio psico-fisico.
  • Flessibilità oraria e mobilità interna.
  • Tecnologia accessibile e avanzata.
  • Empatia e ascolto nella leadership.

Una cultura HR vincente è quella che unisce valori umani e comportamenti coerenti. Non esiste una sola formula: serve un ecosistema.

 

Il ruolo dello Studio Siciliano & Partners

In questo scenario, lo Studio Siciliano & Partners supporta le aziende nell’implementare strategie HR moderne e sostenibili, con l’obiettivo di generare valore economico, sociale e culturale.

Dal welfare aziendale ai progetti di employer branding, dall’analisi del clima aziendale alla formazione delle figure chiave, il nostro approccio è sartoriale, concreto e orientato al futuro.

Vuoi attrarre giovani talenti nella tua azienda e costruire un clima lavorativo forte e moderno?
Contattaci per una consulenza strategica personalizzata.

ONBOARDING: IL PRIMO ERRORE CHE LE AZIENDE NON POSSONO PIÙ PERMETTERSI

Immaginate di assumere un talento, magari dopo un lungo processo di selezione. È motivato, qualificato, perfettamente in linea con la cultura aziendale. Eppure, dopo poche settimane, se ne va. O peggio: resta, ma disilluso, improduttivo, distante. Il motivo? Nella maggior parte dei casi, un onboarding inadeguato.

L’inserimento di un nuovo collaboratore non è un atto amministrativo. È un passaggio strategico, in cui l’azienda dimostra coerenza tra ciò che ha promesso in fase di selezione e ciò che davvero offre.

I numeri dell on-boarding:

  • Le aziende con un onboarding strutturato migliorano la retention dell’82%.
  • Il 70% dei dipendenti con una buona esperienza iniziale risulta più produttivo.
  • Il 69% dei nuovi assunti che ricevono un onboarding positivo rimane in azienda per almeno tre anni.[1]

Tre casi di successo in Italia:

  1. Hilti Italia – Onboarding digitale e personalizzato
    Hilti è un punto di riferimento globale nel settore delle costruzioni, noto per l’innovazione e la solidità della sua cultura aziendale.
    In Hilti Italia, l’on-boarding è diventato una leva strategica. È stato introdotto un programma digitale tramite la piattaforma “Fuse”, che consente ai nuovi assunti di:
  • Accedere a contenuti formativi interattivi già prima dell’arrivo in azienda.
  • Alternare momenti di apprendimento in aula, lavoro sul campo e social learning.
  • Essere affiancati da colleghi senior per accelerare l’integrazione.

I risultati: Performance elevate già nei primi mesi, senso di appartenenza rafforzato, retention oltre il 90%.[2]

  1. Gruppo Cimbali – Accoglienza che crea identità
    Questa azienda è una realtà storica italiana nell’ambito della produzione di macchine per caffè professionali, con una forte componente manifatturiera e relazionale.
    Il Gruppo Cimbali ha sviluppato un onboarding “a misura d’uomo”:
  • Tutoraggio diretto per le prime tre settimane di ogni neoassunto in produzione.
  • Giornate di conoscenza interdipartimentale per comprendere l’intero ciclo produttivo.
  • “Welcome box” con manuali tecnici, strumenti di lavoro, lettera del CEO e piccoli gadget per far sentire la persona parte del gruppo.

I risultati: Migliore comprensione dei processi, riduzione del turnover iniziale del 35%.[3]

  1. Fameccanica – Onboarding tecnico e umano
    Fameccanica è un’impresa abruzzese nel settore dell’automazione e della meccanica avanzata, parte del gruppo Angelini Technologies.
    In questa realtà è stato strutturato un onboarding efficace per i ruoli tecnici, combinando:
  • Un programma di formazione specifica nei primi 60 giorni.
  • Sessioni di mentoring tecnico e gestionale.
  • Introduzione graduale alle linee di produzione, con valutazioni periodiche e affiancamento costante.

I risultati: Riduzione del tempo medio di produttività del 30% e aumento della soddisfazione interna nei primi 3 mesi.[4]

 

Best practice accessibili a tutti

Un onboarding efficace non è una prerogativa delle grandi organizzazioni: è un processo che ogni realtà, a prescindere dalla dimensione, può e dovrebbe strutturare. Ecco cinque principi fondamentali per costruire un’esperienza di inserimento solida, coerente e coinvolgente.

  1. Prepara il terreno prima dell’arrivo
    Il rapporto con il nuovo collaboratore comincia prima del primo giorno. Una comunicazione pre-inserimento riduce l’incertezza e trasmette professionalità.
  1. Stabilisci un percorso chiaro e guidato
    Serve una roadmap precisa: accoglienza, formazione, affiancamento, obiettivi e feedback. L’improvvisazione costa molto più della pianificazione.
  1. Coinvolgi attivamente il team
    Integrare il gruppo nel processo di inserimento rafforza le relazioni interne e accelera l’adattamento del nuovo arrivato.
  1. Monitora e ascolta
    Prevedi momenti di confronto nei primi 7, 30 e 90 giorni. Il feedback non è solo uno strumento di controllo, ma un’opportunità di miglioramento reciproco.
  1. Rendi l’onboarding coerente con i valori aziendali
    Ogni aspetto del processo dovrebbe riflettere la cultura dell’organizzazione. L’esperienza iniziale è il biglietto da visita più credibile dell’azienda.

L’onboarding non è un costo: è un investimento. È il primo momento reale in cui l’azienda dimostra di essere ciò che ha promesso. Ignorarlo, sottovalutarlo o gestirlo con superficialità significa aumentare il rischio di turnover precoce, perdere opportunità di engagement e danneggiare la propria reputazione.

Se vuoi approfondire come strutturare o migliorare il processo di onboarding nella tua organizzazione, contattaci. Siamo pronti ad accompagnarti passo dopo passo.

 

Fonti usate nel testo:

[1] Clickboarding, Onboarding Stats Report, 2023.

[2] SDA Bocconi Insight – “Hilti: Where onboarding goes into overdrive with digital technology”, 2021.

[3] Il Sole 24 Ore – Formazione e Onboarding, 2023.

[4] Fameccanica – Bilancio di sostenibilità 2020-2021.

IL VALORE DI UN FEEDBACK: UNA RIFLESSIONE SUL RECRUITMENT

Nel mio lavoro ho la fortuna di incontrare e confrontarmi con moltissime persone. Alcune sono alla ricerca di nuove opportunità, altre desiderano dare una svolta alla propria carriera. Con alcuni di loro il percorso si è concretizzato in un cambiamento; con altri il dialogo continua, perché il valore di un buon confronto non può esaurirsi in un singolo incontro.

Eppure, c’è una frase che sento ripetere continuamente: “Avrei solo voluto avere un riscontro”.

Chiunque abbia cercato lavoro almeno una volta sa cosa significa aspettare una risposta che non arriva mai. Il dubbio, l’incertezza, la sensazione di non sapere se il proprio tempo e il proprio impegno siano stati considerati. Eppure, quando ci troviamo dall’altra parte, come recruiter o hiring manager, questa consapevolezza sembra svanire.

Non credo che la mancanza di feedback sia sempre dovuta a mancanza di rispetto. Spesso è il risultato di ritmi frenetici, di processi di selezione complessi, di decine – a volte centinaia – di candidature da gestire. Ma proprio per questo, forse, vale la pena fermarsi un attimo e chiedersi: cosa possiamo fare per migliorare l’esperienza di chi si candida?

Il Recruitment è una relazione, non solo un processo

Dare un riscontro, anche quando non è positivo, non è solo una questione di correttezza: è un modo per costruire connessioni. Un candidato che oggi non è la scelta giusta potrebbe esserlo in futuro. O potrebbe consigliare l’azienda a qualcuno più in linea.

E poi c’è un aspetto più umano: ricordarsi cosa significa essere dall’altra parte. Nessuno ama sentirsi ignorato. Anche una risposta breve, un aggiornamento sul processo, un piccolo consiglio su cosa migliorare possono fare la differenza nella percezione che una persona avrà dell’azienda e, più in generale, della propria esperienza di selezione.

D’altronde, il feedback non ha solo un valore per i candidati, ma anche per l’azienda. Secondo una ricerca di Talent Board, il 52% dei candidati che ha vissuto un’esperienza negativa in fase di selezione eviterà di acquistare in futuro prodotti o servizi di quella stessa azienda. Questo dimostra che un cattivo processo di selezione può impattare non solo sull’employer branding, ma anche sul business.

Non serve molto, basta poco

Dare un buon feedback non significa scrivere lunghi report o dedicare ore a ogni candidatura. A volte basta davvero poco:

  • Un riscontro veloce – Anche un semplice “Siamo ancora in fase di valutazione” evita di lasciare le persone nel dubbio.
  • Una comunicazione chiara – Un candidato che ha sostenuto un colloquio merita di sapere l’esito, nel bene e nel male.
  • Un piccolo spunto di miglioramento – Non sempre è possibile, ma quando lo è, un consiglio può trasformare un rifiuto in un’opportunità di crescita.

Perché ne vale la pena?

Perché un buon processo di selezione non credo proprio sia fatto solo di numeri e competenze, ma di esperienze. E perché ogni interazione con un candidato – che si concluda con un’assunzione o meno – è un’occasione per costruire un ponte, anziché lasciare un vuoto.

Non sempre possiamo assumere tutti. Ma possiamo sempre scegliere come lasciare un segno.

E voi, che esperienza avete con il feedback ai candidati? Vi è mai capitato di non riceverne? O di riceverne uno che ha fatto la differenza? [1]

 

 

[1] Fonti usate nel testo:

Talent Board (2022). Candidate Experience Benchmark Research Report. Disponibile su: https://www.prnewswire.com/news-releases/talent-board-releases-2022-candidate-experience-benchmark-research-report-301718241.html

In-Recruiting (2023). Feedback ai candidati: perché bisogna sempre darli. Disponibile su: https://www.in-recruiting.com/it/feedback-candidati-perche-sono-importanti/

InfoJobs (2023). L’importanza del feedback nel processo di selezione. Disponibile su: https://business.infojobs.it/limportanza-del-feedback-nel-processo-di-selezione.html

Zeta Service (2023). Il ruolo cruciale del feedback nel processo di selezione del personale. Disponibile su: https://www.zetaservice.com/it/blog/il-ruolo-cruciale-del-feedback-nel-processo-di-selezione-del-personale.html

Atempo (2023). Il Paradosso del Feedback: Perché i Candidati Meritano una Risposta Chiara e Tempestiva. Disponibile su: https://www.atempospa.it/blog-atempo/il-paradosso-del-feedback-perche-i-candidati-meritano-una-risposta-chiara-e-tempestiva/

 

SOFT SKILLS O ESPERIENZA? COME LE COMPETENZE TRASVERSALI STANNO CAMBIANDO IL RECRUITING.

Le soft skills come adattabilità, comunicazione, problem-solving sono ormai considerate essenziali nel recruiting moderno. Sono le competenze che aiutano i candidati a crescere nei loro ruoli e ad affrontare i cambiamenti con agilità. Tuttavia, nonostante la loro importanza sia ampiamente riconosciuta, per mia personale esperienza ho riscontrato che si continua a voler dare priorità all’esperienza specifica. Di fronte a un mercato del lavoro in così rapida evoluzione, ha senso mantenere questo approccio?

Il Rapporto Excelsior 2024 di Unioncamere e ANPAL evidenzia che il 94% delle aziende italiane considera essenziali competenze trasversali come adattabilità, collaborazione e problem-solving per affrontare le trasformazioni dei mercati. E un’indagine di LinkedIn Jobs on the Rise 2024 conferma che, nelle professioni emergenti in Italia, le soft skills saranno importanti tanto quanto le competenze tecniche. Questi dati invitano a riconsiderare i criteri di selezione, suggerendo che le aziende dovrebbero cercare candidati con competenze tecniche di base e con un alto potenziale di adattamento e crescita.

Le competenze tecniche restano fondamentali in molti ruoli. Per esempio, un esperto di cyber security deve conoscere in profondità le normative e le tecniche di protezione dei dati per garantire la sicurezza aziendale. Allo stesso modo, un ingegnere meccanico nel settore industriale deve padroneggiare tecniche di manutenzione e funzionamento di macchinari per garantire la qualità e la
sicurezza dei processi. In questi contesti, le competenze tecniche sono irrinunciabili.

Tuttavia, il rapido evolversi della tecnologia rende alcune competenze tecniche rapidamente obsolete. Questo implica che i candidati con capacità di adattamento e apprendimento continuo costituiscano un vero e proprio asset strategico per molte aziende. Ecco alcune organizzazioni che stanno adottando un approccio innovativo nel valorizzare le soft skills senza trascurare le competenze tecniche:

  • Google ha introdotto le structured behavioral interviews, domande mirate che valutano capacità di problem-solving, comunicazione e lavoro in team. Questo approccio permette di selezionare candidati tecnicamente competenti e con capacità di adattamento in ambienti complessi e dinamici, come confermato dai materiali di Google dedicati alle pratiche di selezione.
  • Unilever, multinazionale britannica di beni di consumo, titolare di 400 marchi tra i più diffusi nel campo dell’alimentazione, bevande, prodotti per l’igiene e per la casa, utilizza test digitali che simulano scenari lavorativi per valutare sia le competenze tecniche che soft skills come adattabilità e orientamento al risultato. Questo approccio ha portato a una riduzione dei tempi di selezione e all’identificazione di talenti capaci di affrontare ambienti dinamici, come riportato da Graduates First.
  • Deloitte ha integrato valutazioni sull’intelligenza emotiva e sulla leadership nei suoi processi di selezione, soprattutto per ruoli di management e consulenza. Questa pratica è sicuramente orientata a costruire team resilienti e capaci di collaborare, qualità cruciali in contesti di lavoro orientati al cliente.
  • IBM colosso statunitense operante nella produzione e commercializzazione di hardware, software per computer, middleware e servizi informatici, offrendo infrastrutture, servizi di hosting, cloud computing, intelligenza artificiale, computazione quantistica e consulenza nel settore informatico e strategico adotta un processo di selezione strutturato che include valutazioni comportamentali e tecniche per esaminare le competenze dei candidati. Durante i colloqui comportamentali, vengono poste domande specifiche per valutare le capacità di problem solving e le competenze collaborative. Ad esempio, ai candidati può essere chiesto di descrivere situazioni in cui hanno affrontato sfide complesse o hanno lavorato efficacemente in team. Queste domande mirano a comprendere come il candidato analizza i problemi, sviluppa soluzioni e interagisce con gli altri in un contesto professionale.

Questi esempi mostrano che un recruiting moderno può bilanciare competenze tecniche e soft skills, scegliendo candidati capaci non solo di svolgere un lavoro ma anche di adattarsi e crescere. Le competenze tecniche sono essenziali, ma puntare esclusivamente su esperienze specifiche può significare perdere talenti che, con capacità trasversali solide, potrebbero rispondere al meglio alle sfide del futuro. Investire sulle soft skills è una scelta strategica per costruire team flessibili e orientati all’innovazione.

La domanda allora è chiara: siamo pronti a dare una vera chance a candidati con forti capacità di adattamento, anche senza esperienza specifica?

CAMBIAMENTI E TENDENZE PER IL 2024: 4 ELEMENTI SU CUI LAVORARE.

Mentre il 2023 giunge alla sua conclusione, è già tempo di proiettarsi verso il futuro e anticipare i trend del nostro settore e le innovazioni del 2024.
La rapida evoluzione del panorama digitale richiede alle aziende di rimanere all’avanguardia, sfruttando le tendenze e adottando strategie innovative per garantire il successo nel mercato in continuo cambiamento.

  1. Intelligenza Artificiale e Automazione: Il Cuore del Successo

Abbiamo visto ampiamente quest’anno quanto l’Intelligenza Artificiale (IA) e l’automazione non saranno semplici opzioni, ma elementi indispensabili per il successo aziendale.
Le imprese che adottano queste tecnologie hanno avuto enormi vantaggi sull’ottimizzazione dei processi, l’efficienza operativa e la riduzione dei costi.
Settori chiave come la sanità, l’industria manifatturiera, l’automotive, l’educazione, i servizi finanziari, il commercio, l’agricoltura, l’energia e la sicurezza saranno trasformati, portando a una gestione più intelligente dei dati e decisioni aziendali informate.

  1. Sostenibilità Aziendale: Una Priorità Imprescindibile

Nel 2024, la sostenibilità sarà al centro delle priorità aziendali.
Le imprese si impegneranno a ridurre l’impatto ambientale attraverso l’adozione di tecnologie eco-friendly, l’ottimizzazione delle catene di approvvigionamento e politiche interne incentrate sulla responsabilità sociale d’impresa. Lo smart working sarà cruciale per la sostenibilità, riducendo gli spostamenti e aumentando la produttività, creando un contesto lavorativo flessibile e orientato al benessere dei dipendenti.

  1. Protezione dei Dati e Privacy: Imperativo Aziendale

Quello che arriva sarà anche l’anno della sicurezza e della protezione della privacy.
Con minacce informatiche sempre più sofisticate, le imprese adotteranno strategie proattive e soluzioni innovative per preservare l’integrità delle informazioni sensibili, diventando fondamentali per la reputazione e la continuità aziendale.

  1. Dominio del Video Marketing: Esperienza Interattiva

Il video marketing sarà protagonista indiscusso nel 2024, ridefinendo la comunicazione aziendale. Contenuti originali, coinvolgenti e adatti alle specifiche piattaforme, insieme all’interattività attraverso sondaggi e sessioni di Q&A in tempo reale, saranno essenziali per stabilire un rapporto di fiducia con i clienti.

Insomma il 2024 si prospetta come un anno fondamentale per l’innovazione aziendale e con il supporto di tecnologie avanzate le imprese possono affrontare queste sfide con successo.
Il consiglio che sento di darvi, per affrontare al meglio le novità che ci aspettano, è quello di riuscire ad avere una comprensione approfondita delle dinamiche digitali.
L’avanzamento tecnologico semplifica i nostri processi ma bisogna imparare a controllarlo per non rischiare di creare effetti collaterali.

RISORSE FONDAMENTALI NEL SOCIAL MEDIA MARKETING: TARGETING AVANZATO E TENDENZE PUBBLICITARIE.

Nell’universo competitivo del social media marketing, il targeting avanzato rappresenta una leva strategica fondamentale per connettersi con il pubblico giusto al momento giusto.  In questo articolo, esploreremo le innovazioni nelle strategie di targeting, focalizzandoci sulla personalizzazione delle campagne e le nuove frontiere della pubblicità a pagamento.

 La personalizzazione delle campagne è essenziale nel social media marketing e il targeting avanzato emerge come una chiave d’accesso per raggiungere questo obiettivo. Attraverso una comprensione approfondita delle nuove possibilità offerte dalle piattaforme, possiamo massimizzare l’impatto delle nostre strategie.

Le piattaforme social offrono strumenti sempre più sofisticati per affinare il targeting. Dalle opzioni demografiche alle nuove frontiere relative agli “interessi” e ai “comportamenti”, è essenziale esplorare tutte le possibilità. Ad esempio, su Facebook, l’uso mirato delle opzioni di targeting comportamentale consente di raggiungere utenti con interessi specifici, garantendo un impatto maggiore delle tue campagne.

Oltre al targeting, è sempre bene esaminare le ultime tendenze nella pubblicità a pagamento. L’evoluzione dei formati pubblicitari e l’approccio sempre più personalizzato hanno oramai ridefinito questo panorama. L’integrazione di strategie pubblicitarie innovative può amplificare ulteriormente l’efficacia delle tue campagne sui social media.

Da cosa partire per sfruttare al meglio questi strumenti?
Implementare con successo il targeting richiede una strategia ben ponderata. Innanzitutto, analizza attentamente il tuo pubblico di riferimento e identifica i comportamenti chiave. Sperimenta con combinazioni di parametri di targeting per individuare la strategia ottimale. Infine, monitora costantemente le prestazioni e apporta aggiustamenti in tempo reale per massimizzare i risultati.

Il targeting avanzato, dunque, rappresenta una risorsa importantissima nel mondo del social media marketing e l’integrazione di nuove tendenze pubblicitarie offre opportunità sempre diverse. È fondamentale mantenere un approccio flessibile, sperimentare continuamente e adattarsi alle mutevoli dinamiche del pubblico, tutte chiavi per il successo a lungo termine della tua strategia di marketing.