IL FENOMENO DELLE DIMISSIONI E LA RICERCA DELLA SOSTENIBILITÀ

Diventa sempre più frequente, per i lavoratori, preferire le dimissioni alla consueta vita d’ufficio.
Questo fenomeno delle “grandi dimissioni” non scaturisce soltanto dalla stanchezza dei lavoratori nell’affrontare le classiche problematiche legate al recarsi in ufficio ma deriva anche da una maggiore consapevolezza e determinazione nel cercare una nuova sostenibilità e nel desiderare, fortemente, di diventare esseri umani migliori.

Queste parole trovano conferma nell’indagine condotta da Deloitte[1] (e riportata da “Il Sole 24 ore”[2]), dove si evince che per l’80% dei lavoratori italiani è sempre più importante che la loro azienda si impegni concretamente in programmi e iniziative di sostenibilità e solo il 15% di dichiara di lavorare per un’organizzazione del genere.

 

Sostenibilità, appunto, non soltanto riguardo all’aspetto ambientale ma in riferimento anche ad un Capitale Umano verso il quale le aziende dovranno garantire “una visione più agile, inclusiva e sostenibile del lavoro”[3].

Sempre secondo questo sondaggio, 6 persone su 10 sono interessate a rimanere in un’azienda che crea valore non solo per gli azionisti ma anche per i lavoratori, in quanto esseri umani, e per la società in

generale.

Progettare ambienti fisici, digitali o ibridi che si adattino alle diverse esigenze lavorative, rispettando le preferenze delle persone rispetto al “come”, “quando” e “dove” svolgere il proprio lavoro.
È questa la sfida che le aziende oggi devono affrontare costantemente, ridefinire il concetto di “luogo di lavoro” rispettando le preferenze del proprio capitale umano e accompagnando loro con un adeguato avanzamento tecnologico.

Tornando ai dati, solo il 14% del campione intervistato ritiene che la loro azienda sia pronta a questa evoluzione e, al tempo stesso, il 14% delle aziende italiane si sente preparata a sostenere una maggiore influenza dei dipendenti nei contesti lavorativi.

 

Cosa significa questo?
Senza ombra di dubbio, è necessario che i leader adottino una nuova mentalità e un nuovo “modus operandi” che consenta loro di sperimentare con curiosità e coltivare relazioni profonde con le persone.

 

Voi siete pronti?

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[1] https://www2.deloitte.com/us/en/insights/focus/human-capital-trends.html#framing-the-challenge  (ultima consultazione: 19.04.2023)

[2] https://alleyoop.ilsole24ore.com/2023/04/18/generazione-dimissioni/?utm_medium=LISole24Ore&utm_source=LinkedIn#Echobox=1681826328-2 (ultima consultazione: 19.04.2023)

[3] Ibidem

CAMBIAMENTI NEGLI ANNUNCI DI LAVORO: LA NUOVA NORMATIVA EUROPEA

In data 30 marzo 2023 è stata approvata dal Parlamento Europeo[1] la nuova direttiva in materia di trasparenza retributiva che avrà lo scopo di consentire ai lavoratori di individuare e contrastare ogni forma di discriminazione tra donne e uomini sul luogo di lavoro in termini salariali.

Sarà imposto a tutte le imprese appartenenti all’UE l’obbligo di divulgazione delle informazioni atte ad agevolare il confronto degli stipendi dei dipendenti, denunciando ogni forma di divario retributivo di genere.

Appare doveroso analizzare le ragioni fondanti che hanno portato all’approvazione di queste nuove disposizioni. All’interno della relazione della proposta di direttiva, redatta il 4 marzo 2021, così si legge:

 

L’iniziativa mira a contrastare il persistere di un’applicazione inadeguata del diritto fondamentale alla parità retributiva e a garantire il rispetto di tale diritto in tutta l’UE, stabilendo norme in materia di trasparenza retributiva per consentire ai lavoratori di rivendicare il loro diritto alla parità retributiva.” [2]

 

Tale decreto è stato conseguente alla risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 2021 sulla strategia dell’UE per la parità di genere. In tale circostanza è stato richiesto alla Commissione di:

 

“redigere un nuovo ambizioso piano d’azione per far fronte al divario retributivo di genere all’interno del quale siano stabiliti degli obiettivi chiari per gli Stati membri al fine di ridurre il divario salariale di genere nei prossimi cinque anni.” [3]

 

Queste disposizioni sono state avanzate con lo scopo di mettere in luce i pregiudizi di genere nei sistemi retributivi di inquadramento professionale che non valorizzano il lavoro di donne e uomini in modo paritario e neutro sotto il profilo del genere.

La proposta di direttiva chiarisce come tali misure debbano essere considerate all’interno di un più ampio pacchetto di misure e iniziative volte ad affrontare le cause profonde del divario retributivo di genere e a consentire l’emancipazione economica delle donne.

Viene specificato inoltre come tale iniziativa rientri all’interno di un approccio:

 

“multidimensionale che comprende, inoltre, la direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare con iniziative settoriali per combattere gli stereotipi e migliorare l’equilibrio di genere” [4]

 

A fronte di queste premesse va letto l’articolo 5 dedito alla Trasparenza retributiva prima dell’assunzione. Il candidato è tenuto a ricevere dal futuro datore di lavoro informazioni sulla propria retribuzione iniziale “sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo di genere” non solo in sede di colloquio ma anche all’interno dell’inserzione lavorativa.

Inoltre il datore di lavoro non potrà avere dai candidati informazioni sulle precedenti retribuzioni.

 

La definitiva entrata in vigore delle nuove disposizioni avverrà a seguito dell’approvazione formale da parte del Consiglio europeo con la pubblicazione all’interno della Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Gli stati membri saranno tenuti ad adottare le nuove normative entro 3 anni dall’entrata in vigore a livello comunitario.

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[1] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/OJQ-9-2023-03-30_IT.html

[2] Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, Bruxelles, 2021 p.1

[3] Divario retributivo di genere: le donne guadagnano meno degli uomini nell’UE? in Attualità – Parlamento Europeo, 2020

[4] Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, Bruxelles, 2021 p.2

Il potere del capitale invisibile

Partiamo subito dal concetto che definisce il tema di questo articolo:
CAPITALE INVISIBILE = RISORSE UMANE + EFFICIENTAMENTO ORGANIZZATIVO/TECNOLOGICO

Il risultato di questa equazione è il valore del capitale umano di un’impresa, ad oggi il più importante.

I costi sommersi che derivano dalla non consapevolezza da parte dell’imprenditore del concetto sopra espresso sono notevoli ed incidono sul bilancio aziendale in modo determinante.

Quando una risorsa lascia l’azienda, fenomeno oramai sempre più frequente, ci sono costi dei quali non si riesce a tenere traccia:

  • Ricerca
  • Colloqui
  • Assunzione (se l’azienda piace ed è attrattiva!)
  • Orientamento e formazione con affiancamento di altre risorse aziendali.

Oltre a questi, ancora più difficile è determinare il costo di una serie di dinamiche innescate dal turn-over stesso, come la perdita di produttività/conoscenza e l’interferenza negativa sul clima aziendale, con conseguente perdita di fiducia che tende a portare con sé disimpegno su chi rimane.

Non stiamo sostenendo, con questo, che la risorsa deve essere trattenuta a tutti i costi in azienda se la sua volontà è quella di cambiare (tipo di lavoro, luogo dove abitare, etc.).

Ma c’è un dato statistico su cui vale la pena riflettere:

DURATA MEDIA IN ANNI
DEL POSTO DI LAVORO                           GENERAZIONE                        ANNI NASCITA

8                                                                       BABY BOOMERS                         (1945-1960)

5,4                                                                    GENERAZIONE X                         (1961-1980)

2,4                                                                    MILLENNIALS                               (1981-1995)

1,2                                                                     GENERAZIONE Z                         (1995 in poi)

 

Cosa possiamo dedurre da tutto ciò?
È necessario focalizzare l’attenzione su quanto sia possibile migliorare la nostra organizzazione aziendale, aumentando il benessere dei nostri collaboratori e la loro gratificazione, sia dal lato formazione/carriera, sia dal lato benefit, per metterci nella condizione di non perdere i migliori talenti che abbiamo e risultare sempre più attrattivi nei confronti dei nuovi.

La tua azienda a quale scenario appartiene?
Vi riporto, di seguito, solo alcune “considerazioni”:

PASSATO                                                                           FUTURO

Lavorare 9-18                                                                     Lavorare in qualsiasi momento

Lavorare in ufficio                                                            Lavorare ovunque

Utilizzare il device aziendale                                        Utilizzare qualsiasi device

Accumulare informazioni                                             Condividere le informazioni

Basato sulle email                                                           Basato sula collaborazione tecnologica

Basato sulle conoscenze                                               Basato sulla formazione continua

 

Risorse umane e Aziende: come tenere e attrarre i talenti

Secondo l’indagine “InfoJobs Trend HR 2022”, realizzata fra dicembre 2021 e gennaio 2022 su un campione di 180 aziende italiane, la sfida da vincere in questo momento per il 41,1% di queste imprese è quella di trattenere e attrarre i talenti (Attraction&Retention).

Parto subito dal dato più significativo per evidenziare come, nella previsione futura relativa ai prossimi 5 anni sui collaboratori/candidati, sia solo il 7,9% delle risorse umane ad esprimere l’intenzione di rimanere nell’ azienda in cui attualmente lavora.

La motivazione determinante che porta una risorsa a restare nell’attuale contesto lavorativo è perché apprezza l’ambiente e ha un rapporto di fiducia consolidato con i titolari dell’azienda.
Ma va sottolineato che la risorsa vorrebbe comunque avere maggiori responsabilità e peso nelle decisioni importanti oltre alla possibilità di una crescita con adeguata formazione.

Che cosa vuol dire questo?
Che desiderano partecipare più attivamente all’evoluzione, al cambiamento nella proposta dei servizi/prodotti offerti, essere coinvolti nei passaggi importanti della vision aziendale.
Non è più attuale il pensare che possiamo suddividere i nostri collaboratori in “statici” e “dinamici”, in chi è chiamato a svolgere solo mansioni routinarie “ingessate” piuttosto che creative e flessibili.

Oggi, anche la mansione più semplice e, all’apparenza, ripetitiva è soggetta a continui mutamenti.
Rimanere aperti e ascoltare non solo il manager ma tutti coloro che partecipano ai processi aziendali ci consente di rendere il processo lavorativo dinamico e di far crescere e valorizzare tutte le risorse aziendali, qualsiasi sia il loro ruolo.
In aggiunta, se riusciamo nell’intento, ne conseguirà automaticamente una gratificazione economica.

Possiamo far crescere, quindi, la percentuale da cui abbiamo preso spunto all’inizio dell’articolo, provando a rivolgere la nostra attenzione intorno a noi con uno sguardo diverso!

La fase storica che stiamo attraversando rappresenta una grande opportunità per la costruzione di modelli di collaborazione e di ambienti di lavoro che rispondano in maniera efficace alla nuova sensibilità e alle nuove sfide che ci aspettano, da oggi in poi!

Un grande alleato per la tua azienda: il business coach

Dedicare una pagina agli imprenditori in questo momento mi sembra la cosa migliore per una persona che è sempre stata dall’età di diciott’anni imprenditore di sé stesso e oggi socio e amministratore di due aziende.

Ognuno di noi viene chiamato a parlare di quello che sa e che tocca con mano tutti i giorni della sua vita. So che molti non condivideranno queste parole, ma io considero gli imprenditori gli unici veri eroi di questa situazione, insieme con i medici e i volontari che si sono spesi per proteggere tutti noi.

Oggi, alla luce dei fatti di quella che è la realtà, molti di noi si trovano a dover modificare il proprio business, ad affrontare una contrazione dei consumi mai vista nella storia, a guardare negli occhi i collaboratori che lavorano con noi da anni e, a volte, ci ritroviamo a non avere risposte da dare alle numerose e diverse richieste che ci arrivano.

Sappiamo tutti che trovare strategie nuove è la soluzione migliore ma molti di noi non sanno come fare perché, per cambiare rotta, abbiamo bisogno di alleati forti. Per un imprenditore un alleato è sicuramente un Business Coach professionista.

Per quella che è la mia esperienza, posso sostenere che, tra tutte le strade che ho percorso nella mia vita, sicuramente quella del Business Coach è quella che più si è rivelata utile per queste situazioni ed è sicuramente la formazione che mi consente di aiutare gli imprenditori in un momento così delicato.

Molti mi chiedono chi sia e cosa faccia un Coach.

La risposta è complessa e forse è più utile un esempio per fare un po’ di luce su questa “mistica” formazione.

Girati e guarda dietro di te la tua ombra, quella è il coach. Ti segue, ti accompagna, ti sta vicino ma non è mai davanti a te.

Tutti i Coach professionisti sono, allo stesso tempo, coach di sé stessi e mettono in pratica quello per cui hanno studiato.

Formano e coltivano anticorpi naturali come la strategia, gli obiettivi, la consapevolezza, la creatività, l’intelligenza emotiva, l’ascolto, la positività, l’etica e il rispetto per l’individuo come tale.

E’ per questo che in una situazione di conflitto e di emergenza il Coach diventa un grande alleato. È un soggetto che, un po’ per indole e un po’ per formazione, non molla.

Storytelling e storyselling

Nel mondo del web, le storie di business e di prodotto da mostrare ai nostri potenziali clienti non sono lineari in quanto ci sono spesso novità, opportunità e trend nuovi e ad emergere sono coloro che offrono i contenuti più belli, più emozionanti e coinvolgenti.

Quando parliamo di storytelling ci riferiamo ad un modo di comunicare tramite racconti che ci connettono agli altri. Fare storytelling vuol dire creare rappresentazioni testuali, visive e sonore del nostro brand per instaurare una relazione con i clienti.

In questo momento possiamo sottolineare come sia la narrazione a vincere sulla funzionalità, l’emozione a vincere sull’utilità, perché ognuno di noi quando viene colpito da un “racconto” vede in un prodotto un aspetto di sé stesso o un’esperienza simile che ci porta ad identificarci. Se ci imbattiamo in un contenuto che ci colpisce e ci emoziona, tendiamo a riconoscerci in questo e ad immedesimarci. Infatti, il motivo per cui decidiamo di acquistare un prodotto o un servizio è proprio la sensazione di appartenenza. A colpirci non sono i brand che “gridano più forte” degli altri ma quelli che sono in grado di instaurare una relazione con noi.

Questo processo di immedesimazione coinvolge quindi i valori in cui crediamo e per attuarlo è necessaria la narrazione, ossia quel processo che mette insieme i fatti con le rappresentazioni. Narrare è diventato ormai un asset strategico nel business e molte aziende lo hanno capito. A tal proposito non basta solo raccontare storie, bisogna raccontare storie da “effetto wow”, perché serve distinguersi in un mercato dove c’è tanta concorrenza.

Va tenuto ben in mente, innanzitutto, che oggi il marketing ruota intorno ai desideri, non ai bisogni. Alla base della decisione d’acquisto c’è sì un problema e una necessità ma è ai desideri che bisogna dare risposta. Tutti, prima di un prodotto, cercano emozioni. Ecco che quindi lo storytelling serve per coinvolgere un pubblico suscitando in lui delle emozioni che lo colpiscano al punto tale dal portarlo ad effettuare un acquisto.

Come fare tutto ciò? Si potrebbe partire da questo schema narrativo canonico:

  • il protagonista: espone il proprio punto di vista;
  • l’impresa: la missione che deve compiere il protagonista;
  • il conflitto: può essere esteriore o interiore;
  • il trauma: più è inspiegabile, più è accattivante;
  • l’avversario: ci vuole un ostacolo, che non è necessariamente un nemico;
  • il tesoro: risorse materiali o immateriali che permettono di compiere l’impresa;
  • oggetti di potere: servono per rendere possibile l’impresa (eventi e situazioni);
  • gli aiutanti: un supporto al compimento dell’impresa (persone, cose, animali);
  • nozze finali: l’esito della storia.

Un racconto ben strutturato e che colpisce il nostro pubblico ci permette di passare da Storytelling a Storyselling.

Fare Storyselling vuol dire vendere attraverso i racconti, partendo dall’intercettare gli utenti che si muovono nel frenetico ecosistema del web proponendo loro il prodotto o servizio in modo distintivo. Tuttavia, anche dopo una eventuale vendita, la narrazione deve proseguire per tenere vivo il racconto e per far sì che il cliente resti con te e non limiti la sua esperienza d’acquisto ad una sola volta.

Non si tratta solo di impostare un bel video, una bella campagna, un post accattivante. Bisogna rivedere tutta la comunicazione in base ad una storia di business. Per questo motivo si parla di storyselling, che unisce “story” con la vendita, “selling”. Perché le storie, come già detto, vendono. Non importa il tipo di prodotto o servizio che si offre, conta offrire contenuti che diano emozioni, perché queste ripagano.

Bisogna conciliare la coerenza del proprio brand con le esigenze dei nuovi consumatori.

Non si deve tradire la propria filosofia, bisogna imparare a raccontarla!

Il potere della grafica

Partiamo dal principio, che cos’è la grafica?

Questa è esattamente la domanda che viene fatta più spesso da chi non conosce questo mondo e, convenzionalmente, la risposta più semplice da dare è che si tratta del risultato dato da un insieme di elementi che generano una comunicazione efficace.

In effetti la grafica altro non è che tutto quell’insieme di immagini, testi, colori, forme e idee che vediamo tutti i giorni. La possiamo trovare ovunque, sul giornale, alla tv, sui social, sulle nostre magliette e persino sull’etichetta dei pantaloni che ci spiega come lavarli. Si, vi sembrerà assurdo ma anche quella è grafica.

Quando leggiamo un libro, visitiamo un museo o semplicemente mangiamo i nostri cereali preferiti a colazione, stiamo entrando in contatto con il mondo della grafica. Infatti, dietro a tutte queste cose passate in rassegna, ci sarà sempre un grafico che avrà impaginato quel libro, creato quella segnaletica del museo che stiamo visitando e disegnato la scatola dei nostri cereali preferiti.

Se andiamo a scoprire il lato più profondo riusciremo a comprendere come la grafica sia legata all’identità e al modo di vedere e rappresentare le cose di chi la crea. Mi spiego meglio, si tratta di un canale, un mezzo in grado di raccontare la storia di un brand partendo dalla creazione del logo fino ad arrivare a tutta l’immagine coordinata. Può raccontare un evento, un momento della nostra vita, persino un periodo storico.

Riesce a delineare quello che piace davvero alle persone e di cosa hanno bisogno. Questo spiega perché nella grande distribuzione, ad esempio, vengano fatti degli studi sulle reazioni che hanno i consumatori vedendo il nuovo packaging di uno shampoo piuttosto che di una confezione di pasta, sui colori che attirano di più l’attenzione e generano un acquisto insieme a tanti altri elementi.

Vi starete chiedendo come sia possibile che la grafica riesca a fare tutte queste cose, ma la risposta è semplicissima, lo fa attraverso la comunicazione. Chi lavora in questo mondo si chiama designer (detto anche grafico), ed è colui che si occupa di osservare, studiare, sperimentare e confrontarsi costantemente prima di creare qualcosa di nuovo.

Un grafico lavora sempre a contatto con persone diverse, con esigenze nuove e realtà differenti. Questo lo porta a dover sempre osservare e conoscere bene chi ha di fronte e quali sono le sue necessità.

Può trovarsi davanti a diversi casi: da un marchio emergente che necessita della creazione del logo, al restyling da mettere in atto per “svecchiare” l’identità di un brand ormai obsoleta, con l’obiettivo di renderla più al passo con i tempi. Altre volte ancora sarà un supporto e/o un importante collaboratore per tutte le attività riguardanti il mondo digitale.

Questi sono solo alcuni dei casi che possono presentarsi. La sfida più grande per un grafico rimarrà sempre quella di riuscire a creare un connubio perfetto tra tutti gli elementi che faranno parte della grafica.

Se pensavate che si trattasse solo di scegliere una bella foto e scriverci sopra una frase vi sbagliavate, ma approfondiremo questo tema nei prossimi articoli.

In realtà questo è un lavoro di traduzione delle immagini e di creazione di messaggi comunicativi forti, chiari ed efficaci. Contenuti composti da immagini, testo, colori che devono generare un’emozione, far percepire un’idea, presentare un prodotto, comunicare una mission e così via.

Per spiegare nel dettaglio in cosa consista questo lavoro servirebbe davvero molto tempo ma, come detto, avremo modo di approfondire l’argomento. Ciò che però può essere da subito evidenziato è che un grafico necessita di molta creatività e immaginazione, in quanto, come evidenzia René Magritte, “La realtà non è mai come la si vede: la verità è soprattutto immaginazione”.

Quanto è importante la reputazione online della tua azienda?

Per spiegare l’importanza della Web Reputation di un’azienda, parto dalle parole di Chris Anderson, giornalista e saggista statunitense, ideatore della celebre espressione “Coda Lunga” : “Ormai viviamo in un’epoca in cui ogni consumatore ha un megafono. Molti lo stanno usando. E le aziende farebbero meglio ad ascoltare”.

Quanto appena riportato ha ben poco da essere chiarito, è un’affermazione che racchiude completamente il significato e l’importanza della Web Reputation. Ma entrando un po’ di più nello specifico, bisogna tenere ben presente che oggi sono le parole dei clienti a decretare il successo o il fallimento di un prodotto, un servizio, un brand.

Non a caso, viene data sempre più importanza a ciò che le persone “dicono di noi” nei diversi spazi messi a disposizione dal Web. Non parliamo più, dunque, solo di commenti ai blog aziendali o feedback privati ma ci riferiamo anche, e soprattutto, alle recensioni, ai commenti ai post che le persone pubblicano sui vari canali social.

Il sito web e il blog aziendale sono strumenti di grande importanza per interagire con il nostro pubblico e, attraverso queste pagine, possiamo comunicare informazioni utili e interessanti “incoraggiando” il pubblico ad acquistare un prodotto o un servizio, ad iscriversi alla nostra newsletter o a un’area utenti, a commentare o a condividere. Dal punto di vista reputazionale ha molta importanza la quantità e soprattutto la qualità dei commenti ai post del blog. Ma il sito e il blog aziendale, per quanto possano essere importanti, possono avere minore visibilità e traffico in confronto ad altre “piazze” del web in cui fare conversazione, come ad esempio i Social Network.

Questi ultimi sono i “luoghi ideali” in cui monitorare e migliorare la rispettiva Web
Reputation, in quanto da un lato possiamo ascoltare tutte le conversazioni pubbliche in cui viene citato il nostro brand, dall’altro abbiamo un account ufficiale della nostraazienda che possiamo usare per comunicare quotidianamente con il pubblico e raccogliere feedback di ogni tipo.
Da qui nascono spontanee un paio di domande: siamo davvero sicuri di fare questo tipo di attività correttamente? Ma soprattutto, chi svolge questo lavoro per la nostra impresa?
Sono consapevole che spesso il pensiero comune sia: “per evitare alcune spese è meglio gestire i social autonomamente. Tanto non ci vuole nulla a pubblicare qualche foto con due righe di testo sopra”.
Ecco, questo tipo di ragionamento è il primo passo che porta a compiere i più svariati e gravi errori su questi potentissimi mezzi di comunicazione, rischiando di compromettere (a volte inevitabilmente) la propria reputazione online.

L’attività di Social Media Marketing non è solo pubblicare qualche contenuto ogni tot di giorni. Questo lo può fare grosso modo chiunque, senza dubbio!

Un’ azienda, però, non ha bisogno di questo, bensì necessita di qualcuno che renda i social vere opportunità per incrementare il proprio business. E per fare questo serve un’analisi preliminare, la creazione di un piano editoriale (questo sconosciuto), l’ottimizzazione dei contenuti (in base ai social scelti su cui presenziare), la creazione e il monitoraggio delle campagne pubblicitarie (da prevedere in ogni tipologia di business se si vogliono ottenere risultati reali), la gestione dei commenti negativi in base al tone of voice dell’azienda, etc..

L’elenco è ancora lungo e prevede diverse attività da svolgere in questo settore ma ciò che vorrei fosse chiaro è che non si tratta di un lavoro che si può svolgere dal nulla, improvvisandosi Social Media Manager. Servono delle competenze di base e un costante aggiornamento data la fluidità del settore in continua evoluzione, ricordando che la Web Reputation della nostra azienda è tutt’altro che un gioco.

Che ne dici, pensi che ne valga la pena investire in un Social Media Manager professionista?

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Le professioni del futuro

Lavorando nel mondo delle risorse umane e della selezione del personale, molti dei miei clienti e candidati che seguo mi hanno chiesto quale fosse la mia opinione su quello che succederà al mondo del lavoro e quali saranno le figure professionali più richieste.

Inoltre, ciò che viene sempre fuori, è la voglia di capire su cosa sia meglio investire personalmente, in termini di formazione, per quelle che saranno le professioni del futuro.

Per avere delle risposte appropriate mi sono affidata alla più autorevole piattaforma on-line per il match tra domanda e offerta: LINKEDIN.

Quello che attualmente si evince è una fotografia di aziende orientate alla ricerca di figure sempre più improntate sul mondo del SALES e del MARKETING DIGITALE. Un nuovo scenario che ci impone di riflettere sull’investimento in formazione professionale su figure nuove che potrebbero sorgere proprio per rispondere alle esigenze della pandemia.

A livello commerciale e SALES sono molto richieste figure in grado di gestire la comunicazioneaziendalee di ideare strategie di fidelizzazione dei clienti e del team interno.

Anche negli imprenditori più tradizionali, se il prodotto lo consente, si insedia il pallino dell’E-COMMERCE, ecco perché anche in questo ambito si vengono a creare opportunità di sviluppo progetti, immagini coordinate, copywriter specialist per la creazione di testi accattivanti dedicati al mondo del web.

Ecco, se prima essere sul web in un certo modo era consigliato, adesso diventa una vera e propria esigenza! E anche chi ricerca personale o chi cerca lavoro deve rimanere al passo con i tempi.

Ben venga quindi la formazione in questo senso, corsi on line, gestiti su piattaforme alle quali si può accedere da qualsiasi parte del mondo ci si trovi in modalità E­ LEARNING.

Il consiglio di chi fa il mio lavoro è quello di investire in formazioni in questo senso, in modo da rendere appetibile il proprio profilo per quelle che saranno le professioni di domani.

La riconversione delle risorse

Il mercato del lavoro stava già subendo una grande rivoluzione prima che il COVID-19 entrasse prepotentemente nelle nostre vite.

Nell’ambito HR, gli operatori del settore, sono piuttosto abituati ormai da anni a non trovare più nei CV delle carriere lineari. La generazione “Xers” è infatti caratterizzata da cambi di rotta, spesso all’apice di carriere molto entusiasmanti sulla carta ma molto meno per quella parte di noi che spesso si nasconde sotto la giacca e la cravatta, chiamata intelligenzaemotiva.

Adesso, volente o nolente, sembra sia arrivato il momento di fare un passo verso il cambiamento che tanto abbiamo professato negli anni ma che, al tempo stesso, non abbiamo mai messo in pratica, un po’ per timore, un po’ per pigrizia.

In questa fase, collaboratori e aziende avranno un ruolo determinante, dovranno disputare una partita da giocare ad armi pari, con lo scopo di riconvertire i propri ruoli, quando possibile, analizzando insieme i percorsi di carriera da poter intraprendere. Come può avvenire quanto scritto sopra?

Servirà sicuramente flessibilità da entrambe le parti e, qui torniamo alla parola più in voga in questo periodo, predisposizione al cambiamento.

Processo che possiamo analizzare sotto diversi punti di vista, uno su tutti la riconversione in azienda.

Se molte aziende del nostro tessuto economico nel periodo di crisi hanno riconvertito la produzione, possiamo pensare che anche le risorse umane siano protagoniste di una riconversione.

Dobbiamo innanzitutto prendere atto che ci saranno dei business in perdita che non torneranno (almeno nel breve periodo) ad essere di nuovo in attivo. Ci sarà, dunque, la necessità di delineare l’importanza di valutazione delle risorse attraverso un bilanciodellecompetenze,strumento necessario per capire quali sono le competenze maggiormente sviluppate e come investirci per farle emergere.

Il BDC è un ottimo strumento per aiutare imprenditori e collaboratori a superare incertezze relative a momenti di crisi e indirizzare il dipendente verso un nuovo settore, stimolando magari quella ragione interna che fino a quel momento era stata sopita, presa dalla routine quotidiana.

Riconvertire il personale, oggi più di ieri, diventa fondamentale per non perdere capitale umano che può fare la differenza in azienda: la collaborazione tra una HR Specialist e un Business Coach è un connubio vincente per ricostruire certezze e consolidare nuovi business.