I PRINCIPALI NEMICI DELLA CREATIVITA’

Hai mai sentito parlare dei peggiori nemici della creatività?
Ci sono diversi fattori che possono ostacolarla ma, prima di vedere quali, inquadriamo il tema partendo dalla definizione di questo concetto:

La creatività è la capacità di generare idee o produzioni originali e innovative.
È un processo mentale che coinvolge una serie di elementi come esperienze personali, conoscenze e intuizioni per dar vita a qualcosa di nuovo.

Per chi lavora nel mondo della comunicazione, del marketing o della grafica è imprescindibile avere un team di persone creative per affrontare determinate situazioni in modo non convenzionale, pensare in modo flessibile e trovare soluzioni originali.
Per questo motivo la creatività è vista come una risorsa preziosa, sia nella nostra vita che nel lavoro.
Ma quali sono, dunque, quei “nemici” che la ostacolano e che dobbiamo cercare di evitare?
Vediamoli di seguito:

  1. La mancanza di competenza
    Primo tra tutti, la competenza è un elemento fondamentale e riguarda la conoscenza approfondita di un campo specifico, nonché l’esperienza acquisita nel corso del tempo. Creatività e competenza sono due qualità complementari che si influenzano reciprocamente. La prima alimenta l’innovazione e l’originalità, la seconda offre solidità e padronanza per trasformare le idee creative in realtà.
  2. La paura del giudizio
    La paura di essere giudicati o criticati può limitare la volontà di esprimere le nostre idee creative. La preoccupazione di essere ridicolizzati o respinti può rendere le persone meno propense a pensare in modo creativo.
  3. Voler essere troppo originali
    Quando si vuol essere troppo originali si rischia che le proprie idee finiscono per non essere comprese o apprezzate in quanto le persone potrebbero non essere in grado di capire ciò che si propone. Essere troppo creativi e uscire dagli schemi in maniera smisurata comporta un “allontanamento dalla norma”, da ciò che conosciamo e con cui abbiamo una certa familiarità, quando proprio quest’ ultimo aspetto è proprio ciò che la maggior parte delle persone preferisce.
    Generare resistenza può ostacolare il progresso delle nostre idee creative, per questo è sempre bene tener in mente la famosa frase less is more.
  4. Voler essere poco originali
    L’artista, il designer, il grafico o colui che “crea” ha il compito di generare qualcosa di nuovo o creativo al punto da suscitare un’emozione. La mancanza di originalità può portare ad un blocco e questo succede quando, per paura di osare di più, si tende ad attingere sempre dalle stesse idee o soluzioni senza mai spingersi oltre la cosiddetta “comfort zone”. La creatività si nutre esattamente dell’esatto contrario in quanto si muove sempre verso sfide nuove che permettono di crescere e migliorare nello sviluppo di idee sempre più originali. Originalità e creatività sono gli ingredienti essenziali per aprire le porte a nuove opportunità, in quanto i nostri clienti sono spesso alla ricerca di idee nuove, fresche e se non siamo in grado di fornirgliele rischiamo di perdere l’opportunità di partecipare a progetti interessanti, collaborazioni stimolanti o esperienze di crescita.
  5. La ricerca costante della perfezione
    La grafica perfetta, il progetto perfetto o l’idea perfetta non esistono.
    L’errore più comune è proprio legato alla ricerca della perfezione, spesso definita fondamentale per avere un lavoro di valore e di successo. Alcune volte si rischia anche di non iniziare nemmeno un nuovo progetto perché si pensa: “Tanto non riuscirò mai a farlo come vorrei, non sarà mai perfetto!”.
    Quante volte abbiamo sentito la frase “la perfezione non esiste”?
    Decine, se non centinaia, di volte. Ed è proprio vero perché ciò che conta è fare. Il segreto è puntare sempre a migliorare e questo è possibile, appunto, solo facendo. Essere perfezionisti non è sempre un obiettivo lodevole, anzi, qualora si perseguisse questo obiettivo in modo eccessivo, potrebbe diventare un ostacolo alla nostra creatività.

Questi sono alcuni degli ostacoli comuni che possono limitare la creatività di una persona. È importante riconoscere questi nemici e cercare di affrontarli per liberare il potenziale creativo che, in qualsiasi lavoro, è un elemento fondamentale. Figuriamoci in un mondo in costante evoluzione come quello attuale, dove pensare in modo innovativo è diventato un aspetto, quasi, imprescindibile.

STRATEGIE DI MARKETING PER AFFRONTARE LE DIFFICOLTÀ

Il Marketing e la recessione economica sono due elementi che sicuramente non vanno d’accordo. Spesso nel nostro paese, soprattutto per le piccole medie imprese, è difficile capire il valore di avere una strategia di marketing oculata e quanto, grazie ad essa, sia possibile minimizzare eventuali fatturi esterni negativi e, addirittura, emergere più forti di prima.

In questo articolo, esploreremo alcune strategie di marketing che ogni azienda potrebbe adottare durante i momenti difficili per mantenere una posizione competitiva sul mercato:

  • Comunicazione chiara e incentrata sul valore:

In un periodo di incertezza economica, i consumatori sono più propensi a valutare attentamente i loro acquisti. Diventa quindi importante comunicare chiaramente il valore dei prodotti/servizi offerti dall’azienda. Concentrarsi sugli aspetti come prezzo, qualità e durata dei prodotti, può aiutare a differenziarsi dalla concorrenza e mantenere la fedeltà dei clienti.

  • Investire nella comunicazione e nell’ottimizzazione dei motori di ricerca (SEO):

Ormai è assodato che la maggior parte dei potenziali clienti si rivolge a Internet per cercare prodotti e servizi a prezzi convenienti. Investire nell’ottimizzazione dei motori di ricerca può aiutare l’azienda a migliorare la sua visibilità online e raggiungere nuovi clienti. Creare contenuti rilevanti e di alta qualità, migliorare la struttura del sito web e puntare ad una comunicazione efficace sono cose che sicuramente porteranno ad aumentare il traffico organico verso il proprio sito web e, di conseguenza, far conoscere meglio la propria azienda.

  • Offerte speciali e promozioni:

I consumatori sono (quasi sempre) alla ricerca di offerte speciali e promozioni che offrano un valore aggiunto. Creare bundle promozionali, offrire coupon o consulenze “tailor made” può incentivare i clienti ad acquistare anche durante periodi di incertezza economica. Ovviamente bisogna essere certi che le offerte siano sostenibili per l’azienda e che garantiscano comunque un margine di profitto adeguato senza svalutare il proprio lavoro.

  • Valorizzare la relazione con i clienti esistenti:

Durante i momenti difficili, mantenere una buona relazione con i clienti esistenti diventa ancora più importante. Fornire un servizio clienti di qualità, essere disponibili per rispondere alle domande e aiutarli a risolvere eventuali problemi, sono tutti aspetti che possono contribuire a mantenere la fedeltà dei clienti. Inoltre, i clienti soddisfatti possono diventare dei promotori dell’azienda, fornendo referenze positive ad amici e parenti.

 

In conclusione, possiamo dire che affrontare una recessione economica richiede flessibilità e adattabilità da parte delle persone ed ancor di più delle aziende.
Non bisognerebbe mai avere paura dei cambiamenti e restare fermi, perché è proprio nei momenti difficili che si possono costruire strategie vincenti che permettano di prosperare, anche “nel caos”.

CHI È E COSA FA IL BUSINESS COACH?

Il business coach è un professionista altamente qualificato che può aiutare imprenditori, manager e professionisti a sviluppare le loro capacità di leadership, gestione e comunicazione per raggiungere obiettivi di business e di carriera.

Al giorno d’oggi, però, capisco che esiste ancora molta confusione su questa professione in quanto spesso mi viene chiesto: “Chi è il coach? Che cosa fa?”.
Relazionandomi con i miei clienti ho potuto notare che nella maggior parte dei casi il coach viene confuso con un formatore, un insegnante, un tutor.

Niente di tutto questo. Il coach è un professionista abilitato ed iscritto ad un albo nazionale che esercita una professione di supporto attraverso un metodo fondato su “domanda e risposta”.
Le domande mirano a costruire un piano d’azione cognitivo e fattibile per arrivare ad ottenere la realizzazione di un obiettivo che è stato condiviso con il “Coachee” (o cliente).
Il compito del coach è facilitare l’individuazione e il raggiungimento degli obiettivi, è scoprire e valorizzare il potenziale del Coachee. Un alleato che ti porta nel “mondo del fare” con cui costruire, attraverso la creatività, obiettivi raggiungibili, stimolanti e misurabili.

 

Inoltre, in questo articolo, vorrei sfatare alcune delle false credenze più comuni sul business coach, spiegandovi più nel dettaglio cosa fa questo professionista.

  1. “I business coach sono solo per le grandi aziende” FALSO.
    Sono utili per qualsiasi tipo di azienda, indipendentemente dalla dimensione. Un business coach può aiutare anche i piccoli imprenditori a migliorare le loro strategie di marketing, a gestire meglio il loro tempo, a sviluppare le loro capacità di leadership e molto altro.
  2. “I business coach ti dicono cosa fare” FALSO.
    Il lavoro del business coach non consiste nell’imporsi come la soluzione ai problemi del cliente, ma di aiutare il cliente a trovare le proprie soluzioni. Guida il cliente attraverso il processo di sviluppo di soluzioni efficaci ma, la decisione finale, è sempre del cliente.
  3. “Il business coach ti fa diventare ricco in poco tempo” FALSO.
    Il business coach non garantisce il successo finanziario in poco tempo. Il suo ruolo è quello di aiutare il cliente a sviluppare strategie efficaci per raggiungere i propri obiettivi di business a lungo termine. Il successo richiede tempo, impegno e perseveranza.
  4. “Il business coach è utile solo per risolvere problemi” FALSO.
    Non serve esclusivamente a questo ma pianifica con il cliente il miglior modo per risolvere eventuali problemi e raggiungere i propri obiettivi di business, sviluppando una visione più chiara e la giusta strategia.
  5. “Il business coach non è necessario se sei già un imprenditore di successo” FALSO.
    Anche gli imprenditori di successo, forse ancora di più, possono beneficiare del supporto di un business coach per fare un’analisi su nuove idee e strategie da sviluppare per mantenere il successo nel tempo.

In conclusione, i coach più talentuosi ed esperti sanno porre le giuste domande e seguire, attraverso le risposte e il dialogo con il cliente, piste e strade che portano a traguardi e a risultati a volte inaspettati. Deve essere chiaro, però, che per ottenere determinati risultati è determinante creare un rapporto di fiducia con il Coachee e, con ferma convinzione, posso dire che “trovare un coach con cui costruire insieme un futuro desiderato è come trovare un tesoro”.

IL FENOMENO DELLE DIMISSIONI E LA RICERCA DELLA SOSTENIBILITÀ

Diventa sempre più frequente, per i lavoratori, preferire le dimissioni alla consueta vita d’ufficio.
Questo fenomeno delle “grandi dimissioni” non scaturisce soltanto dalla stanchezza dei lavoratori nell’affrontare le classiche problematiche legate al recarsi in ufficio ma deriva anche da una maggiore consapevolezza e determinazione nel cercare una nuova sostenibilità e nel desiderare, fortemente, di diventare esseri umani migliori.

Queste parole trovano conferma nell’indagine condotta da Deloitte[1] (e riportata da “Il Sole 24 ore”[2]), dove si evince che per l’80% dei lavoratori italiani è sempre più importante che la loro azienda si impegni concretamente in programmi e iniziative di sostenibilità e solo il 15% di dichiara di lavorare per un’organizzazione del genere.

 

Sostenibilità, appunto, non soltanto riguardo all’aspetto ambientale ma in riferimento anche ad un Capitale Umano verso il quale le aziende dovranno garantire “una visione più agile, inclusiva e sostenibile del lavoro”[3].

Sempre secondo questo sondaggio, 6 persone su 10 sono interessate a rimanere in un’azienda che crea valore non solo per gli azionisti ma anche per i lavoratori, in quanto esseri umani, e per la società in

generale.

Progettare ambienti fisici, digitali o ibridi che si adattino alle diverse esigenze lavorative, rispettando le preferenze delle persone rispetto al “come”, “quando” e “dove” svolgere il proprio lavoro.
È questa la sfida che le aziende oggi devono affrontare costantemente, ridefinire il concetto di “luogo di lavoro” rispettando le preferenze del proprio capitale umano e accompagnando loro con un adeguato avanzamento tecnologico.

Tornando ai dati, solo il 14% del campione intervistato ritiene che la loro azienda sia pronta a questa evoluzione e, al tempo stesso, il 14% delle aziende italiane si sente preparata a sostenere una maggiore influenza dei dipendenti nei contesti lavorativi.

 

Cosa significa questo?
Senza ombra di dubbio, è necessario che i leader adottino una nuova mentalità e un nuovo “modus operandi” che consenta loro di sperimentare con curiosità e coltivare relazioni profonde con le persone.

 

Voi siete pronti?

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[1] https://www2.deloitte.com/us/en/insights/focus/human-capital-trends.html#framing-the-challenge  (ultima consultazione: 19.04.2023)

[2] https://alleyoop.ilsole24ore.com/2023/04/18/generazione-dimissioni/?utm_medium=LISole24Ore&utm_source=LinkedIn#Echobox=1681826328-2 (ultima consultazione: 19.04.2023)

[3] Ibidem

CAMBIAMENTI NEGLI ANNUNCI DI LAVORO: LA NUOVA NORMATIVA EUROPEA

In data 30 marzo 2023 è stata approvata dal Parlamento Europeo[1] la nuova direttiva in materia di trasparenza retributiva che avrà lo scopo di consentire ai lavoratori di individuare e contrastare ogni forma di discriminazione tra donne e uomini sul luogo di lavoro in termini salariali.

Sarà imposto a tutte le imprese appartenenti all’UE l’obbligo di divulgazione delle informazioni atte ad agevolare il confronto degli stipendi dei dipendenti, denunciando ogni forma di divario retributivo di genere.

Appare doveroso analizzare le ragioni fondanti che hanno portato all’approvazione di queste nuove disposizioni. All’interno della relazione della proposta di direttiva, redatta il 4 marzo 2021, così si legge:

 

L’iniziativa mira a contrastare il persistere di un’applicazione inadeguata del diritto fondamentale alla parità retributiva e a garantire il rispetto di tale diritto in tutta l’UE, stabilendo norme in materia di trasparenza retributiva per consentire ai lavoratori di rivendicare il loro diritto alla parità retributiva.” [2]

 

Tale decreto è stato conseguente alla risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 2021 sulla strategia dell’UE per la parità di genere. In tale circostanza è stato richiesto alla Commissione di:

 

“redigere un nuovo ambizioso piano d’azione per far fronte al divario retributivo di genere all’interno del quale siano stabiliti degli obiettivi chiari per gli Stati membri al fine di ridurre il divario salariale di genere nei prossimi cinque anni.” [3]

 

Queste disposizioni sono state avanzate con lo scopo di mettere in luce i pregiudizi di genere nei sistemi retributivi di inquadramento professionale che non valorizzano il lavoro di donne e uomini in modo paritario e neutro sotto il profilo del genere.

La proposta di direttiva chiarisce come tali misure debbano essere considerate all’interno di un più ampio pacchetto di misure e iniziative volte ad affrontare le cause profonde del divario retributivo di genere e a consentire l’emancipazione economica delle donne.

Viene specificato inoltre come tale iniziativa rientri all’interno di un approccio:

 

“multidimensionale che comprende, inoltre, la direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare con iniziative settoriali per combattere gli stereotipi e migliorare l’equilibrio di genere” [4]

 

A fronte di queste premesse va letto l’articolo 5 dedito alla Trasparenza retributiva prima dell’assunzione. Il candidato è tenuto a ricevere dal futuro datore di lavoro informazioni sulla propria retribuzione iniziale “sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo di genere” non solo in sede di colloquio ma anche all’interno dell’inserzione lavorativa.

Inoltre il datore di lavoro non potrà avere dai candidati informazioni sulle precedenti retribuzioni.

 

La definitiva entrata in vigore delle nuove disposizioni avverrà a seguito dell’approvazione formale da parte del Consiglio europeo con la pubblicazione all’interno della Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Gli stati membri saranno tenuti ad adottare le nuove normative entro 3 anni dall’entrata in vigore a livello comunitario.

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[1] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/OJQ-9-2023-03-30_IT.html

[2] Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, Bruxelles, 2021 p.1

[3] Divario retributivo di genere: le donne guadagnano meno degli uomini nell’UE? in Attualità – Parlamento Europeo, 2020

[4] Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, Bruxelles, 2021 p.2

Il potere del capitale invisibile

Partiamo subito dal concetto che definisce il tema di questo articolo:
CAPITALE INVISIBILE = RISORSE UMANE + EFFICIENTAMENTO ORGANIZZATIVO/TECNOLOGICO

Il risultato di questa equazione è il valore del capitale umano di un’impresa, ad oggi il più importante.

I costi sommersi che derivano dalla non consapevolezza da parte dell’imprenditore del concetto sopra espresso sono notevoli ed incidono sul bilancio aziendale in modo determinante.

Quando una risorsa lascia l’azienda, fenomeno oramai sempre più frequente, ci sono costi dei quali non si riesce a tenere traccia:

  • Ricerca
  • Colloqui
  • Assunzione (se l’azienda piace ed è attrattiva!)
  • Orientamento e formazione con affiancamento di altre risorse aziendali.

Oltre a questi, ancora più difficile è determinare il costo di una serie di dinamiche innescate dal turn-over stesso, come la perdita di produttività/conoscenza e l’interferenza negativa sul clima aziendale, con conseguente perdita di fiducia che tende a portare con sé disimpegno su chi rimane.

Non stiamo sostenendo, con questo, che la risorsa deve essere trattenuta a tutti i costi in azienda se la sua volontà è quella di cambiare (tipo di lavoro, luogo dove abitare, etc.).

Ma c’è un dato statistico su cui vale la pena riflettere:

DURATA MEDIA IN ANNI
DEL POSTO DI LAVORO                           GENERAZIONE                        ANNI NASCITA

8                                                                       BABY BOOMERS                         (1945-1960)

5,4                                                                    GENERAZIONE X                         (1961-1980)

2,4                                                                    MILLENNIALS                               (1981-1995)

1,2                                                                     GENERAZIONE Z                         (1995 in poi)

 

Cosa possiamo dedurre da tutto ciò?
È necessario focalizzare l’attenzione su quanto sia possibile migliorare la nostra organizzazione aziendale, aumentando il benessere dei nostri collaboratori e la loro gratificazione, sia dal lato formazione/carriera, sia dal lato benefit, per metterci nella condizione di non perdere i migliori talenti che abbiamo e risultare sempre più attrattivi nei confronti dei nuovi.

La tua azienda a quale scenario appartiene?
Vi riporto, di seguito, solo alcune “considerazioni”:

PASSATO                                                                           FUTURO

Lavorare 9-18                                                                     Lavorare in qualsiasi momento

Lavorare in ufficio                                                            Lavorare ovunque

Utilizzare il device aziendale                                        Utilizzare qualsiasi device

Accumulare informazioni                                             Condividere le informazioni

Basato sulle email                                                           Basato sula collaborazione tecnologica

Basato sulle conoscenze                                               Basato sulla formazione continua

 

Risorse umane e Aziende: come tenere e attrarre i talenti

Secondo l’indagine “InfoJobs Trend HR 2022”, realizzata fra dicembre 2021 e gennaio 2022 su un campione di 180 aziende italiane, la sfida da vincere in questo momento per il 41,1% di queste imprese è quella di trattenere e attrarre i talenti (Attraction&Retention).

Parto subito dal dato più significativo per evidenziare come, nella previsione futura relativa ai prossimi 5 anni sui collaboratori/candidati, sia solo il 7,9% delle risorse umane ad esprimere l’intenzione di rimanere nell’ azienda in cui attualmente lavora.

La motivazione determinante che porta una risorsa a restare nell’attuale contesto lavorativo è perché apprezza l’ambiente e ha un rapporto di fiducia consolidato con i titolari dell’azienda.
Ma va sottolineato che la risorsa vorrebbe comunque avere maggiori responsabilità e peso nelle decisioni importanti oltre alla possibilità di una crescita con adeguata formazione.

Che cosa vuol dire questo?
Che desiderano partecipare più attivamente all’evoluzione, al cambiamento nella proposta dei servizi/prodotti offerti, essere coinvolti nei passaggi importanti della vision aziendale.
Non è più attuale il pensare che possiamo suddividere i nostri collaboratori in “statici” e “dinamici”, in chi è chiamato a svolgere solo mansioni routinarie “ingessate” piuttosto che creative e flessibili.

Oggi, anche la mansione più semplice e, all’apparenza, ripetitiva è soggetta a continui mutamenti.
Rimanere aperti e ascoltare non solo il manager ma tutti coloro che partecipano ai processi aziendali ci consente di rendere il processo lavorativo dinamico e di far crescere e valorizzare tutte le risorse aziendali, qualsiasi sia il loro ruolo.
In aggiunta, se riusciamo nell’intento, ne conseguirà automaticamente una gratificazione economica.

Possiamo far crescere, quindi, la percentuale da cui abbiamo preso spunto all’inizio dell’articolo, provando a rivolgere la nostra attenzione intorno a noi con uno sguardo diverso!

La fase storica che stiamo attraversando rappresenta una grande opportunità per la costruzione di modelli di collaborazione e di ambienti di lavoro che rispondano in maniera efficace alla nuova sensibilità e alle nuove sfide che ci aspettano, da oggi in poi!

Un grande alleato per la tua azienda: il business coach

Dedicare una pagina agli imprenditori in questo momento mi sembra la cosa migliore per una persona che è sempre stata dall’età di diciott’anni imprenditore di sé stesso e oggi socio e amministratore di due aziende.

Ognuno di noi viene chiamato a parlare di quello che sa e che tocca con mano tutti i giorni della sua vita. So che molti non condivideranno queste parole, ma io considero gli imprenditori gli unici veri eroi di questa situazione, insieme con i medici e i volontari che si sono spesi per proteggere tutti noi.

Oggi, alla luce dei fatti di quella che è la realtà, molti di noi si trovano a dover modificare il proprio business, ad affrontare una contrazione dei consumi mai vista nella storia, a guardare negli occhi i collaboratori che lavorano con noi da anni e, a volte, ci ritroviamo a non avere risposte da dare alle numerose e diverse richieste che ci arrivano.

Sappiamo tutti che trovare strategie nuove è la soluzione migliore ma molti di noi non sanno come fare perché, per cambiare rotta, abbiamo bisogno di alleati forti. Per un imprenditore un alleato è sicuramente un Business Coach professionista.

Per quella che è la mia esperienza, posso sostenere che, tra tutte le strade che ho percorso nella mia vita, sicuramente quella del Business Coach è quella che più si è rivelata utile per queste situazioni ed è sicuramente la formazione che mi consente di aiutare gli imprenditori in un momento così delicato.

Molti mi chiedono chi sia e cosa faccia un Coach.

La risposta è complessa e forse è più utile un esempio per fare un po’ di luce su questa “mistica” formazione.

Girati e guarda dietro di te la tua ombra, quella è il coach. Ti segue, ti accompagna, ti sta vicino ma non è mai davanti a te.

Tutti i Coach professionisti sono, allo stesso tempo, coach di sé stessi e mettono in pratica quello per cui hanno studiato.

Formano e coltivano anticorpi naturali come la strategia, gli obiettivi, la consapevolezza, la creatività, l’intelligenza emotiva, l’ascolto, la positività, l’etica e il rispetto per l’individuo come tale.

E’ per questo che in una situazione di conflitto e di emergenza il Coach diventa un grande alleato. È un soggetto che, un po’ per indole e un po’ per formazione, non molla.

Storytelling e storyselling

Nel mondo del web, le storie di business e di prodotto da mostrare ai nostri potenziali clienti non sono lineari in quanto ci sono spesso novità, opportunità e trend nuovi e ad emergere sono coloro che offrono i contenuti più belli, più emozionanti e coinvolgenti.

Quando parliamo di storytelling ci riferiamo ad un modo di comunicare tramite racconti che ci connettono agli altri. Fare storytelling vuol dire creare rappresentazioni testuali, visive e sonore del nostro brand per instaurare una relazione con i clienti.

In questo momento possiamo sottolineare come sia la narrazione a vincere sulla funzionalità, l’emozione a vincere sull’utilità, perché ognuno di noi quando viene colpito da un “racconto” vede in un prodotto un aspetto di sé stesso o un’esperienza simile che ci porta ad identificarci. Se ci imbattiamo in un contenuto che ci colpisce e ci emoziona, tendiamo a riconoscerci in questo e ad immedesimarci. Infatti, il motivo per cui decidiamo di acquistare un prodotto o un servizio è proprio la sensazione di appartenenza. A colpirci non sono i brand che “gridano più forte” degli altri ma quelli che sono in grado di instaurare una relazione con noi.

Questo processo di immedesimazione coinvolge quindi i valori in cui crediamo e per attuarlo è necessaria la narrazione, ossia quel processo che mette insieme i fatti con le rappresentazioni. Narrare è diventato ormai un asset strategico nel business e molte aziende lo hanno capito. A tal proposito non basta solo raccontare storie, bisogna raccontare storie da “effetto wow”, perché serve distinguersi in un mercato dove c’è tanta concorrenza.

Va tenuto ben in mente, innanzitutto, che oggi il marketing ruota intorno ai desideri, non ai bisogni. Alla base della decisione d’acquisto c’è sì un problema e una necessità ma è ai desideri che bisogna dare risposta. Tutti, prima di un prodotto, cercano emozioni. Ecco che quindi lo storytelling serve per coinvolgere un pubblico suscitando in lui delle emozioni che lo colpiscano al punto tale dal portarlo ad effettuare un acquisto.

Come fare tutto ciò? Si potrebbe partire da questo schema narrativo canonico:

  • il protagonista: espone il proprio punto di vista;
  • l’impresa: la missione che deve compiere il protagonista;
  • il conflitto: può essere esteriore o interiore;
  • il trauma: più è inspiegabile, più è accattivante;
  • l’avversario: ci vuole un ostacolo, che non è necessariamente un nemico;
  • il tesoro: risorse materiali o immateriali che permettono di compiere l’impresa;
  • oggetti di potere: servono per rendere possibile l’impresa (eventi e situazioni);
  • gli aiutanti: un supporto al compimento dell’impresa (persone, cose, animali);
  • nozze finali: l’esito della storia.

Un racconto ben strutturato e che colpisce il nostro pubblico ci permette di passare da Storytelling a Storyselling.

Fare Storyselling vuol dire vendere attraverso i racconti, partendo dall’intercettare gli utenti che si muovono nel frenetico ecosistema del web proponendo loro il prodotto o servizio in modo distintivo. Tuttavia, anche dopo una eventuale vendita, la narrazione deve proseguire per tenere vivo il racconto e per far sì che il cliente resti con te e non limiti la sua esperienza d’acquisto ad una sola volta.

Non si tratta solo di impostare un bel video, una bella campagna, un post accattivante. Bisogna rivedere tutta la comunicazione in base ad una storia di business. Per questo motivo si parla di storyselling, che unisce “story” con la vendita, “selling”. Perché le storie, come già detto, vendono. Non importa il tipo di prodotto o servizio che si offre, conta offrire contenuti che diano emozioni, perché queste ripagano.

Bisogna conciliare la coerenza del proprio brand con le esigenze dei nuovi consumatori.

Non si deve tradire la propria filosofia, bisogna imparare a raccontarla!

Il potere della grafica

Partiamo dal principio, che cos’è la grafica?

Questa è esattamente la domanda che viene fatta più spesso da chi non conosce questo mondo e, convenzionalmente, la risposta più semplice da dare è che si tratta del risultato dato da un insieme di elementi che generano una comunicazione efficace.

In effetti la grafica altro non è che tutto quell’insieme di immagini, testi, colori, forme e idee che vediamo tutti i giorni. La possiamo trovare ovunque, sul giornale, alla tv, sui social, sulle nostre magliette e persino sull’etichetta dei pantaloni che ci spiega come lavarli. Si, vi sembrerà assurdo ma anche quella è grafica.

Quando leggiamo un libro, visitiamo un museo o semplicemente mangiamo i nostri cereali preferiti a colazione, stiamo entrando in contatto con il mondo della grafica. Infatti, dietro a tutte queste cose passate in rassegna, ci sarà sempre un grafico che avrà impaginato quel libro, creato quella segnaletica del museo che stiamo visitando e disegnato la scatola dei nostri cereali preferiti.

Se andiamo a scoprire il lato più profondo riusciremo a comprendere come la grafica sia legata all’identità e al modo di vedere e rappresentare le cose di chi la crea. Mi spiego meglio, si tratta di un canale, un mezzo in grado di raccontare la storia di un brand partendo dalla creazione del logo fino ad arrivare a tutta l’immagine coordinata. Può raccontare un evento, un momento della nostra vita, persino un periodo storico.

Riesce a delineare quello che piace davvero alle persone e di cosa hanno bisogno. Questo spiega perché nella grande distribuzione, ad esempio, vengano fatti degli studi sulle reazioni che hanno i consumatori vedendo il nuovo packaging di uno shampoo piuttosto che di una confezione di pasta, sui colori che attirano di più l’attenzione e generano un acquisto insieme a tanti altri elementi.

Vi starete chiedendo come sia possibile che la grafica riesca a fare tutte queste cose, ma la risposta è semplicissima, lo fa attraverso la comunicazione. Chi lavora in questo mondo si chiama designer (detto anche grafico), ed è colui che si occupa di osservare, studiare, sperimentare e confrontarsi costantemente prima di creare qualcosa di nuovo.

Un grafico lavora sempre a contatto con persone diverse, con esigenze nuove e realtà differenti. Questo lo porta a dover sempre osservare e conoscere bene chi ha di fronte e quali sono le sue necessità.

Può trovarsi davanti a diversi casi: da un marchio emergente che necessita della creazione del logo, al restyling da mettere in atto per “svecchiare” l’identità di un brand ormai obsoleta, con l’obiettivo di renderla più al passo con i tempi. Altre volte ancora sarà un supporto e/o un importante collaboratore per tutte le attività riguardanti il mondo digitale.

Questi sono solo alcuni dei casi che possono presentarsi. La sfida più grande per un grafico rimarrà sempre quella di riuscire a creare un connubio perfetto tra tutti gli elementi che faranno parte della grafica.

Se pensavate che si trattasse solo di scegliere una bella foto e scriverci sopra una frase vi sbagliavate, ma approfondiremo questo tema nei prossimi articoli.

In realtà questo è un lavoro di traduzione delle immagini e di creazione di messaggi comunicativi forti, chiari ed efficaci. Contenuti composti da immagini, testo, colori che devono generare un’emozione, far percepire un’idea, presentare un prodotto, comunicare una mission e così via.

Per spiegare nel dettaglio in cosa consista questo lavoro servirebbe davvero molto tempo ma, come detto, avremo modo di approfondire l’argomento. Ciò che però può essere da subito evidenziato è che un grafico necessita di molta creatività e immaginazione, in quanto, come evidenzia René Magritte, “La realtà non è mai come la si vede: la verità è soprattutto immaginazione”.